La leggenda della gratitudine e della riconoscenza

La leggenda della gratitudine e della riconoscenza

Tutto cominciò quando, per caso, scoprii una grotta, nella quale, per ultimi, vissero e per molti anni e lontani dal mondo di allora, un uomo molto famoso ed una donna, ecc... (A seguire l'intera storia)

“La leggenda della gratitudine e della riconoscenza”.    

Tutto cominciò quando, per caso, scoprii una grotta, nella quale, per ultimi, vissero e per molti anni e lontani dal mondo di allora, un uomo molto famoso ed una donna, che con suo padre, quando era ancora in vita, salvarono dalla morte quasi certa questo famoso personaggio, che conoscerete in altro racconto. La donna più giovane dell'uomo di circa 30 anni, conosceva la scrittura come anche l'uomo. La scrittura da essi conosciuta era la lingua greca. In questa grotta, oltre ad importanti oggetti, c'erano nove rotoli di pelli di capretto, dove su ognuno di essi è scritta una storia, e la prima delle quali è questa:    

C’era una volta un re che aveva tre figli. Il re era molto saggio e generoso, ma anche molto vecchio e voleva lasciare il regno al migliore dei suoi figli. Da alcuni dei suoi sudditi aveva appreso che in un lontano angolo del regno viveva un discendente dell'indovino Calcante che ("nella mitologia greca era un grande veggente originario di Argo. Aveva ricevuto da Apollo il dono della profezia") e cosi invitò il suo popolo a cercarlo e convincerlo a far visita al re al castello. Cinquanta cavalieri, risposero all'invito del re, che caricati i cavali di svariati doni, partirono, a gruppi di cinque, alla ricerca del discendente di Calcante e dopo circa un mese, i cinque cavalieri con a capo uno soprannominato il "Buono", che avevano scelto di portare in dono: un cavallo, un aratro di legno, due capre, un caprone, un recipiente di bronzo, un paio di sandali di legno ed un cappello di paglia, riuscìrono a trovarlo e a convicerlo ad accettare l'invito del re, così da poter esaudire il desiderio del saggio re di averlo al castello. Con dolce saper parlare il "Buono" e gli altri quattro cavalieri, anche grazie ai doni che avevano scelto per lui, si convinse ed accettò con molta gratitudine, in quanto i doni, gli consentivano, in futuro, di poter autoprodursi il necessario per vivere ben nutriti, lui, sua moglie e i suoi due figli. Il discendente del mitico Calcante, arrivato al cospetto del re, si presentò dicendo di chiamarsi Veritas e discendere dall"indovino Calcante. Avuta questa conferma, il re chiese a tutti, tranne a Veritas, di uscire dalla stanza. Rimasti soli, il re spiegò a Veritas che non era certo di poter fare la scelta giusta sul suo successore alla guida futura del regno e di aiutarlo a decidere su quale figlio effettuare la scelta. Veritas cosi parlò al re: "Maestà, tramandando da generazioni in generazioni i poteri di visione del futuro sono molto diminuiti e riesco a vedere, soltato, che uno solo dei tuoi figli è degno di succederti, fare il re e garantire pace e prosperità per sempre al tuo regno, mentre gli altri due sono ladri, incendiari e guerrafondai e se regneranno porteranno lutti, carestie ed il regno finirà". Il re gli chiese: "quale dei miei figli è degno di regnare in futuro il mio regno?" "Maestà non riesco a vederlo, ma posso consigliarvi di metterli alla prova e cosi dalle loro azioni capirete chi è degno di diventare re." Il re ringraziò e ricompensò Veritas, che era impaziente di far ritorno alla sua casa e riabbracciare la sua famiglia. Il re, dopo alcuni giorni di meditazioni e confronti con la regina, convocò i suoi figli e disse loro: “Figli miei, la mia età non mi consente più di poter continuare a regnare con continuità, saggezza e generosità. Non sò decidere chi di voi sarà il mio giusto successore, ma vi darò un compito per mettere alla prova il vostro cuore e le vostre capacità. Dovrete andare in giro per il mondo e cercare il dono che voi riterrete, per me, più prezioso che esista. Chi riuscirà a trovare e portare a me il dono piu utile e gradito sarà il mio successore ed avrà la mia collaborazione e benedizione a regnare questo giusto e ambito regno”.    
I tre figli accettarono la sfida e partirono in direzioni diverse senza pronunciar parola. Il primo figlio si diresse verso l’oriente più profondo, dove si diceva che ci fossero le terre più ricche e splendide. Il secondo figlio si diresse verso l’occidente, dove si diceva che ci fossero le terre più selvagge e avventurose e abitate dai giganti. Il terzo figlio si diresse verso il sud, dove si diceva che ci fossero le terre più povere e desertiche, ma abitate anche da persone saggie e umili.    
Il primo figlio, dopo aver attraversato deserti, montagne e città, arrivò in un tempio dove era custodito un diamante enorme e lucente. Il diamante era considerato il simbolo della purezza e della perfezione, ed era venerato da tutti i fedeli. Il primo figlio pensò: “Questo è il dono più prezioso che esista. Con questo potrò dimostrare a mio padre la mia nobiltà e la mia grandezza”. Così, con l’aiuto di alcuni mercenari che avveva reclutato a suo servizio con laute ricompenze, rubò il diamante e lo portò con sé.    
Il secondo figlio, dopo aver navigato fiumi e mari, arrivò in un’isola dove era nascosto un tesoro inestimabile. Il tesoro era composto da monete d’oro, gioielli, perle e corone, ed era protetto da una feroce bestia. Il tesoro era considerato il simbolo della ricchezza e del potere, ed era ambito da tutti i pirati che, a quel tempo, infestavano le acque al di qua delle colonne d'Ercole. Il secondo figlio pensò: “Questo è il dono più prezioso che esista. Con questo potrò dimostrare a mio padre la mia forza e la mia audacia”. Così, con l’aiuto di alcuni oppositori del tiranno di quel luogo, uccise la bestia e si impossessò di quel tesoro accumulato dal tiranno, rendendo schiavo e povero il suo popolo.    
Il terzo figlio, dopo aver camminato per strade, campi e villaggi, trovò una capanna dove viveva una anziana donna. La donna di pelle quasi scura era immobilizzata dalla nascita, ma piena di tanta saggezza, ed era assistita da una bambina, orfana, che aveva accolto con amore e gioia nella sua capanna. La donna non aveva nulla di valore materiale, solo un vecchio libro dal titolo "La gratitudine e la riconoscenza" da lei scritto in lingua greca, su foglie di papiro. In questo libro, la donna, aveva inserito le piu belle storie che le genti di passaggio, alcune da ritorno dal faraone, le avevano raccontato o che aveva letto decifrando lingue dei segni su tavolette di creta provenienti dai luoghi vicini ai fiumi della Mesopotamia. La donna era considerata il simbolo della gratitudine e della riconoscenza, ed era amata da tutti, poveri e ricchi del villaggio. Il terzo figlio pensò: “Questo è il dono più prezioso che esista. Con questo potrò dimostrare a mio padre il mio amore e la mia compassione verso la gente semplice e pura”. Così, con l’aiuto della bambina, chiese alla donna di donargli il libro, ma a condizione che andassero a vivere entrambe, sotto la sua tutela e protezione, nel castello del padre. Esse accettarono, convinte da quell'uomo molto buono e convincente.    
I tre figli tornarono, in giorni diversi, dal padre con i loro doni e quando tutti, tornati e riposati dal lungo viaggio, si presentarono, uno alla volta, al padre. Il primo figlio gli mostrò un cofanetto con dentro un diamante e disse: “Padre, ti ho portato il dono più prezioso che esista. Ecco il diamante della purezza e della perfezione e raccontò come era riuscito ad averlo”. Il secondo figlio mostrò un grande baule con dentro il tesoro e disse: “Padre, ti ho portato il dono più prezioso che esista. Ecco il tesoro della ricchezza e del potere e, raccontò come era riuscito ad averlo”. Il terzo figlio, non aveva portato nessun tesoro, ma mostrò il libro e disse: “Padre, ti ho portato il dono più prezioso che esista. Ecco il libro della "gratitudine e della riconoscenza” che ho avuto in dono da una donna ed una bambina povere, ma speciali, che ho portato con me per farle vivere nel nostro castello. Padre, in questo libro, la donna, ha raccolto storie di persone che hanno beneficiato della solidarietà e dell'aiuto del prossimo ed hanno manifestato la loro gratitudine e la loro riconoscenza alle persone dalle quali hanno avuto aiuti e benefici e ne parlano sempre bene." Il re, preso il libro tra le mani, lo aprì più o meno al centro e iniziò a leggere e non lasciò di farlo per molti minuti e mentre leggeva o guarda nel libro, rideva con le lacrime agli occhi. Poi, fermò la sua lettura, forse perché completata la storia che il destino gli aveva fatto conoscere, chiuse il libro e lo adagiò con cura su un ripiano vicino al trono dove era seduto.    
Il re, dopo alcune ore, convocò i suoi primi due figli e con tristezza e disse loro: “Figli miei, mi avete deluso. Voi non avete capito qual'è il vero dono più prezioso che esista per me. Voi avete scelto dei doni egoisti e vani, che non fanno altro che alimentare la vostra superbia e la vostra avidità. Voi avete rubato, ucciso e mentito per ottenere ciò che volevate, senza pensare alle conseguenze. Voi non siete indicati per essere i miei eredi, né di regnare su questo popolo laborioso e altruista e vi ordino di restituire ai legittimi proprietari quanto avete rubato perché nel mio regno non sono stati e non saranno mai accettati doni rubati e li invitò ad uscire”.    
Poi, il re convocò il terzo figlio e gli sorrise. “Tu, invece, hai capito qual è il vero dono più prezioso che esista per me. Tu hai scelto un dono semplice e sincero, che non fa altro che esprimere il tuo cuore e la tua anima di umana nobiltà. Tu hai aiutato, condiviso e rispettato per ottenere ciò che volevi, senza nulla rubare o chiedere, forzatamente, nulla in cambio. La storia che ho letto sul libro, è una storia che rispecchia la mia personalità ed il mio modo di mostrarmi con il mio popolo e desidero che tu faccia in modo che questo libro raggiunga ogni angolo del nostro regno per far conoscere a tutti le belle storie in esso raccontate. Tu, figlio mio, sei degno di essere il mio erede e di regnare su questo popolo laborioso e molto solidale”.    
Così dicendo, il re, diede la sua benedizione al terzo figlio e gli consegnò, lo scettro, fatto di legno d'ulivo, le chiavi del castello e la corona fatta di bronzo senza rubini e brillanti. Poi, il re, si ritirò con la sua sposa in una tenuta di campagna assistiti da alcuni dei suoi ex collaboratori. Il re e la regina vissero in pace e serenità per molti altri anni. Il terzo figlio divenne il nuovo re e regnò con saggezza e giustizia, seguendo l’esempio del padre e leggendo ai suoi figli le storie del libro della gratitudine e della riconoscenza, ma non riuscì mai a capire con certezza quale storia avesse letto il saggio padre il giorno in cui gli consegnò il libro scelto per lui. Alcuni, ancora oggi, raccontano che il re, non lesse una storia, ma ebbe una divina visione, ma cosa vide nessuno mai lo seppe. La donna, immobilizzata, fu miracolata e poté correre sui prati in fiore e nei campi di grano e fu sempre assistita come una regina da tutti i sudditi, ai quali dispensava sempre saggi consigli, mentre la bambina diventata ormai una ragazza da marito, piena di valori e bella come il sole, fu sposata da un cugino del nuovo re ed ebbero, insieme, 5 figli meravigliosi, ad ognuno dei quali donò una copia del libro della gratitudine e della riconoscenza, che lei stessa aveva duplicato. Si racconta che quel regno esista, ma nessuno, ancora, è riuscito a trovarne la giusta strada per poterci arrivare e vivere, forse perché nessuno di noi è di animo puro e pieno di gratitudine e riconoscenza, ma forse non è mai troppo tardi per poterlo diventare e riuscire, così, a trovare la giusta strada che porta a quel mitico regno, dove tutto si fa insieme e per tutti.    
Morale della storia:    
la gratitudine e la riconoscenza sono virtù che possono arricchire la nostra vita. Quando siamo grati e riconoscenti per ciò che abbiamo raggiunto con merito e per quanto abbiamo da altri ricevuto in dono con amore, siamo più sereni e felici e possiamo vivere sicuramente meglio e in armonia con noi stessi e gli altri.    

A.L. - 08/09/2023    
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